Vetrate
I vetri colorati nella storia dell’arte cristiana
L’arte vetraria proveniente dalla Fenicia, fece la sua comparsa nel mondo romano fin dall’età repubblicana, come lo provano i frammenti preziosi di vetro colorato trovati negli scavi di pompei. La troviamo anche presso gli etruschi come si può vedere dai vasi fatti raccogliere da Gregorio XVI nei Musei Vaticani.
I primi cristiani si serviranno del vetro per rappresentare i simboli della credenza cristiana e le principali figure dell’antico e del nuovo testamento. Su vetro si trovano i monogrammi di Cristo, la palma, il pesce, l’orante, la colomba, ecc.
Prima ancora che i rozzi pittori ornassero di affreschi le umide pareti e le basse volte delle cripte cimiteriali, la soave, simbolica figura del Buon Pastore, con la pecorella al collo o con il vaso del latte, già brillava nella smagliante purezza del vetro. Tetulliano afferma[1] che fino dall’età apostolica erano in uso i calici di vetro colorato con la figura del pesce. I fedeli, che vi si accostavano per ricevere la S. Comunione sotto le due specie, leggevano sotto quel simbolo la presenza reale di Cristo. Il pesce infatti nella lingua greca si dice ‘ichthús’, parola formata dalla riunione delle lettere iniziali delle parole: Jesùs Christòs Theù Uiòs Sotèr, che significano: Gesù Cristo di Dio Figlio Salvatore[2]. Anche S. Girolamo afferma che il sangue di Cristo veniva conservato in calice di vetro[3].
L’arte vetraria nelle catacombe
Nelle catacombe, presso i loculi e gli arcosoli, fin dal II secolo venivano murate delle placche di vetro con le figure dei defunti, circondate da esclamazioni di dolore, di gioia, di fede e di speranza cristiana[4]. Tra quegli ambulacri, attorno ai quali venivano deposte le membra lacerate dei martiri, i fedeli, che si raccoglievano per commemorarne il giorno natalizio[5], attraverso le figurazioni su vetro producenti soggetti tratti dalla S. Scrittura, potevano leggere il racconto dei più rinomati esempi, di virtù e gli articoli principali del credo cristiano. I giovani ebrei nella fornace, Daniele nella fossa dei leoni, parlavano di fortezza cristiana e di martirio; il sacrificio di Abramo e la casta Susanna tra i vecchioni, simboleggiavano l’assistenza divina: Giona, rigettato dal pesce sulla riva, era un’affermazione dogmatica sulla Resurrezione. Pietro – Mosé[6] che con la verga taumaturgica fa scaturire l’acqua dalla roccia voleva significare il primato pontificio: Gesù che risuscita Lazzaro, la virtù onnipotente dell’Uomo-Dio…
Le vetrate nelle basiliche cristiane
Dopo i primi tre secoli, quando il cristianesimo, uscendo dalle sale nascoste dei primi patrizi cristiani e dalle cripte di Roma sotterranea, poté rendere il suo culto a Dio pubblicamente, all’aperto e alla luce del sole, allora l’arte vetraria affermandosi solennemente nelle maestose basiliche, sfolgorava tutta la gamma dei suoi colori facendo esclamare al poeta cristiano Prudenzio: “Così brillano i prati ornati dai fiori della primavera aspersi di rugiada”. Ciò spiega come S. Giovanni Crisostomo e S. Girolamo potessero esprimere, fin dal IV secolo nei loro scritti, la gioia spirituale che provavano i fedeli nello stare raccolti in preghiera nelle basiliche parcamente illuminate dai vetri a colori. Il sole, considerato dalla Sacra Scrittura e dalla innografia cristiana[7] come il simbolo più appropriato di Dio, giungeva nel tempio, attraverso le figurazioni sacre della Vergine e dei santi, come un riverbero della divinità.
Il trasferimento da Roma a Bisanzio della sede imperiale, l’invasione barbarica e la spietata guerra mossa dagli iconoclasti alle immagini sacre fece cadere dal suo primitivo splendore l’arte del vetro istoriato. Nonostante però l’universale decadimento, l’arte vetraria seppe pur sorgere dalle sue rovine producendo mirabili opere. Già fin dal V secolo Papa Simmaco poteva ornare di mosaici e di vetri istoriati il cantaro della Basilica di San Pietro: Papa Teodoro e l’Arcivescovo Massimiano abbellivano, in pieno VII secolo, l’abside e le pareti di S. Vitale a Ravenna. Per opera poi di Leone III (795-816) le vetrate a colori si moltiplicarono. L’uso dei vetri istoriati si diffuse in occidente, dopo il mille, specialmente per opera dei monaci. L’abate Desiderio chiamò da Costantinopoli i migliori vetrieri a decorare la Basilica di Montecassino e la sala del Capitolo. Le vetrate artistiche ornarono le nostre belle basiliche gotiche e continuarono a fare la loro comparsa qua e là nelle nostre chiese nei secoli successivi fino ai nostri giorni.
Stile gotico, pitture su vetro e loro fine
Il nostro Santuario è di stile gotico. Lo stile gotico con le sue volte ardite, con le sue finestre ogivali, con la tendenza di tutte le linee a spingersi in alto vuole esprimere l’elevazione cristiana verso il cielo. Per questo, ben a ragione, viene detto “lo stile del cristianesimo”.
L’architettura gotica e la pittura su vetro nacquero assieme. Se le alte finestre nelle chiese gotiche fossero state chiuse da vetri bianchi, con la forte luce avrebbero abbagliato troppo la vista dei fedeli. In questo caso l’arte delle ogive non avrebbe mai raggiunto lo scopo per cui era stata creata: raccogliere cioè nella luce dolce e temperata del tempio l’anima cristiana e sollevarla a Dio. La pittura su vetro e l’architettura gotica si armonizzano e si completano a vicenda. Difatti all’accordo ritmico e armonioso delle svelte e slanciate volte del gotico, le vetrate dipinte aggiungono quel senso mistico che infonde nel cuore una pace ineffabile.
Il fine che si vuole ottenere con le vetrate istoriate è quello di istruire e di edificare le masse. Il popolo, quando entra in una chiesa ricca di scultura e dai vetri translucidi, qualunque sia l’affare che in quel momento lo preme, rimane a contemplare le venerabili immagini e si sofferma a leggere le diciture ed a farsi raccontare le meravigliose istorie. Quei personaggi rivestiti di luce e di gloria – affermava già fin dal tempo suo S. Gregorio Magno – apparivano al cuore dei fedeli come posti in un lembo di cielo, e, risplendendo dalle finestre riempivano di speranza e di beatitudine tutti quelli che li stavano a contemplare. Alzavano gli occhi verso la luce ed incontravano le storie sacre dipinte sui vetri, e anche quelli che non sapevano leggere potevano imparar tutto ciò che dovevano credere per giungere alla salvezza eterna.
La tecnica delle vetrate artistiche
Due metodi hanno usato gli artisti. L’uno si serve di pezzi di vetro di vario colore e li accosta e combina con listelli di stagno in modo da farne saltar fuori le figure diverse. Per preparare i vetri colorati si serve degli ossidi metallici e li fonde con le materie destinate a formare il vetro, cioè arena alba, cenere di soda, di potassa e di calce. I colori così ottenuti fanno parte del vetro medesimo e sono per conseguenza inalterabili. Le figure che ne risultano si dicono figura a mosaico. Tra il mosaico infatti, ed il vetro istoriato vi sono grandi affinità; il secondo non è che un mosaico trasparente che viene a continuare nel vano delle finestre lo splendore delle pareti dorate delle nostre devote cattedrali.
L’altro metodo, quello adoperato per le nostre vetrate, consiste nel dipingere i vari pezzetti di vetro e poi metterli nei forni in modo che le colorazioni penetrino nella pasta vitrea rendendole inalterabili agli agenti atmosferici: vengono alla fine uniti con listelli di stagno, come nel primo metodo.
(1) De pudicita, cap. 10.
([2]) Questo sistema di unire le lettere iniziali del prenome, gentilizio, paternità, cognome e di formare un acrostico, lo troviamo assai usato nell’epigrafia romana imperiale, tanto sulle monete che sulle lapidi.
([3]) Calicem Domini potat in vitro.
([4]) Nel museo del Vaticano al numero 313 si ammira un magnifico tondo di vetro con la iscrizione: “Eusebi anima dulcis”.
([5]) Giorno della morte in cui rinascevano alla vita beata.
([6]) La cosiddetta figura Pietro-Mosé è assai frequente nei sarcofagi. Evidentemente gli antichi lapicidi hanno voluto stabilire un parallelo tra il legislatore antico ed il Capo degli apostoli. In un antico vetro è rappresentato Pietro con la verga che fa scaturire l’acqua con l’iscrizione: “Petrus ad petram”.
([7]) L’inno alle lodi nell’ufficio feriale del tempo di quaresima comincia con le parole: “O sol salutis intimis, Jesu, refulge mentibus…”.