la statua
Don Carlo Pensa secondo successore di Don Orione pone mano decisamente alla realizzazione del sogno del santo Fondatore.
Il 19 giugno 1955 scrive al Canonico Perduca e a Don Brinchi: “La grande statua della Madonna dovrà essere collocata sul Santuario come ha detto Don Orione”.
Si rivolge poi a tutte le forze della Congregazione, ai Tortonesi e ai devoti della Madonna della Guardia con un invito pressante alla preghiera e alla collaborazione.
Tuttavia prima di inoltrarci nella documentazione dettagliata di ogni avvenimento mi pare opportuno chiarire qualche termine per capire a fondo la fede, la certezza e l’entusiasmo di Don Orione che lo portava a realizzare quest’opera gigantesca senza possedere i mezzi necessari.
Fu una ispirazione nata dalla sua profonda devozione alla Madonna che consisteva proprio nel vivere respirando Maria come egli stesso ci ha lasciato come testamento: “la vera devozione alla Madonna sta nel respirare Maria”.
Noi infatti parliamo spesso del sogno di Don Orione e questa espressione potrebbe portarci sull’irreale. Si tratta invece di una visione chiara, di un progetto studiato nei suoi minimi particolari. Don Orione stesso descrive come sarà il Santuario prima della sua realizzazione, e usiamo le sue stesse parole così ricche di entusiasmo e di fede.
“Il Santuario, (scriveva già Don Orione, un po’ anticipatamente, lanciandosi con gli occhi del desiderio) visione di paradiso, ci appare nelle linee più pure ed armoniche, è superbo ed austero: nelle sue guglie snelle e graziose è un delicato ricamo di traforati, di cesellati, è rivestito da una delicatezza e grazia che innamora. Ma il mio sguardo si slancia su per le colonne e gli occhi altissimi e ridiscende e risale a ricorrere rapidamente le infinite linee che si inseguono, si intrecciano, si rispondono su per le volte grandiose”.
E l’Avvenire d’Italia – giornale dell’epoca (siamo nel 1930) riporta: “Il nuovissimo Santuario è di stile gotico bizantino aggraziato da quelle finezze di interpretazioni che pur rispettando le linee dello stile originario rendono schiettamente italiana l’opera dell’insigne architetto Mons. Chiappetta, della Città del Vaticano. È della lunghezza di metri 47 per 34 di larghezza e 22 di altezza.
La meravigliosa volta poggia sopra 12 colonne e di altre due piccole del Tempietto Votivo, verso il coro, sono di marmo colorato di S. Benedetto, colle basi di “uccellino” di Val Camonica ed i capitelli sono di marmo bianco di Botticino. Magnifico e ricchissimo l’altare maggiore di Macchiavecchia (Svizzera) lavorato a Bergamo: di giallo di Siena e di verde di Varallo. I gradini del presbiterio sono di marmo verde di Polcevera. Le basi dell’imponente, e maestoso edificio sono tutte foderate di granito del lago Maggiore come pure, di granito sono tutte le diverse scale laterali esterne”.
Appena terminato il Santuario, alcuni, facendosi forti sull’arditezza delle volte, accesero la fantasia di altri, i quali cercarono di far sorgere un gran panico, tra i pellegrini, proprio alla vigilia della festa, spargendo l’allarme con la speciosa affermazione che le volte avrebbero ceduto sotto il peso della moltitudine facendo crollare il tempio.
I nostri chierici ne fecero allora il collaudo trasportando sulla volta centrale 800 quintali di sacchi di sabbia.
La gran paura si dileguò come per incanto e sotto l’immane peso rimase schiacciata la voce rauca dei pessimisti.
Ma già un anno prima dell’inaugurazione del tempio – dicembre 1930 – Don Orione rivela il suo progetto per la costruzione della grande statua. In quell’occasione lanciava l’appello per la raccolta del rame. Lo riportiamo nuovamente con le sue stesse parole:
“Sentite: non avete in casa qualche vecchia pentola o qualche pignattone di rame, che non ne fate più niente? Qualche caldaia rotta, padelle, casseruole, tegamini, scaldaletti? Qualche marmittone da regalarmi per fare la statua della Madonna? – Non avreste dei mestoli, schiumarole di rame, catini, secchi, pompe rotte da solfato, monete di rame fuori corso?
Prendo tutto!!!
Il rame rotto o che non usate più, non lo darete, in carità, a Don Orione per la Madonna?
Su, aiutatemi, o brava gente! Lo sapete che sono povero, e che il denaro o la roba che mi date va tutta in opere buone: lo vedete!
Aiutatemi, dunque! E dai rottami di rame balzerà fuori bella, divota la statua della Madonna: sarà maestosa, sarà artistica, sarà splendida, sul Santuario, al bel sole d’Italia!
Datevi attorno, questuate rame, o generosi, aiutatemi!
Pentole buone o pentole rotte: prendo tutto, basta onorare Dio nella Sua Madre dolcissima.
Se occorre, manderò l’asinello della Provvidenza col carrettino per la raccolta, basta avvertirmi.
Or dunque, chi non troverà un pezzo di rame, una pentola da dare a Don Orione per la statua della Madonna?
Me la mandate voi? Volete che venga io a casa vostra a prenderla qualche pentola rotta? Oh sì, ci vengo! Fatemelo sapere, e verrò: pur di fare la statua della Madonna!
Coraggio, e avanti nel bene! Facciamo del bene, o brava gente, facciamo sempre del bene, e il Signore sarà con noi!
Fede, fede, o Amici, ma di quella! Di quella che ingrandisce i cuori! E poi invocate fiduciosi la Santa Vergine, e vedrete quante consolazioni, quante grazie, quanti miracoli farà la Madonna!”.
Quale sia stato l’esito della questua delle pentole rotte ce lo riferisce Don Orione stesso sul Bollettino del Santuario.
“Sapete? Oramai mi danno un nome che nessuno me lo leverà più: mi chiamano il prete delle pignatte rotte.
E ben venga anche questo nome, basta servire la Madonna! Nelle feste passo da un paese all’altro alla questua del rame fuori uso, e l’aiuto di Dio e dei buoni non mi manca.
Sono invitato anche fuori Diocesi, e giunge rame pure dal Veneto, dal Genovesato, da Torino e fin dalla Sardegna e Sicilia.
La storia del nuovo Santuario Votivo dovrà avere un capitolo sulle pentole rotte; sarà una pagina che metterà in rilievo le benemerenze del Clero e di tante anime veramente benefiche, una pagina che farà buon sangue per notizie ancora ignorate, per particolari interessantissimi, pieni di buon umore.
A Castelnuovo Scrivia quel Sig. Prevosto Teol. Don Bianchi, coadiuvato dal Parroco Don Angelo Cristiani, che già predicava in quella grossa borgata un triduo solenne in onore del Beato Don Bosco, fece trovare la chiesa parrocchiale gremita di tanta popolazione che pareva una testa sola; e sì che ne contiene di gente la chiesa di Castelnuovo!
Castelnuovo Scrivia è stato un po’ la mia Cafarnao negli anni più giovani e più fervidi, ed io lo porterò sempre nel cuore. È un paese di benedizione: ci predicò San Bernardino da Siena, vi celebrò S. Francesco di Sales, è patria del Beato Stefano Bandello, grande Missionario, e di uomini insigni per virtù e sapere, per spirito di religione, di lavoro e di carità.
Si sono raccolti più di sei quintali di rame, oltre a trenta chili di monete fuori corso.
In quello stesso pomeriggio ho potuto andare anche a Molino de’ Torti. Vi giunsi un po’ sul tardi, che le funzioni erano finite; ma quell’Arciprete, cui tanto devo, aveva preparata la popolazione così che tutti erano in grande aspettativa.
Entrato subito in chiesa, mi vidi innanzi un gran mucchio di rame ben ordinato e deposto davanti all’altare della Madonna, a significare la intenzione dell’offerta.
Bastò un tocco di campana, e in brevi minuti la chiesa fu ripiena. Data le benedizione a quel rame, salii il pulpito.
Il discorso fu un po’ lunghetto, ma molto alla famigliare, poiché con quei di Molino io ci ho assai confidenza e da molt’anni: sono come uno di loro”.