un miracolo: la caduta del chierico Brunello
Il 17 ottobre è una bella giornata autunnale, come ci sa regalare anche il cielo del Piemonte, quando è bello. Sotto l’occhio vigile di Michele Bianchi un chierico, con il muratore Mario Battegazzore, è impiegato a smontare un’impalcatura, che va rifatta più in alto per i lavori di incastellatura del tetto. Verso le 11 avviene un piccolo incidente.
Il chierico, nel passare un travetto cadrebbe di sotto se non avesse la prontezza di spirito di abbrancarsi all’antenna più vicina. Dopo il pranzo, a base di polenta, si riprende a lavorare.
Ci sono ancora sei metri di impalcatura da smontare sopra il vano della scala a chiocciola che guarda verso corso Genova.
Nel gettare una tavola lunga quattro metri, sul piano superiore dell’impalcatura, il chierico mette un piede in fallo, perde l’equilibrio e, con la tavola che lo regge, vola di sotto, nella cripta, da un’altezza di 18 metri.
Ha la presenza di spirito di invocare: “Gesù e Maria, salvatemi!”.
Vola di sotto, a testa in giù, e pensa dentro di sé: “Cosa dirà la mia mamma e mio papà vedendomi così rovinato, con una gamba rotta e sangue uscente da ogni parte?”. Durante la caduta una mano misteriosa deve averlo capovolto se, alla fine del volo, si trova seduto, entro la cripta, su di un terreno soffice, che lo invita ad alzarsi, ma non può, perché la vista comincia a farsi nebbiosa.
Nel frattempo, sull’orlo murato della cripta si affacciano trafelati Don Perduca, il signor Bianchi, l’assistente Costamagna e gli altri soccorritori. Scendono sul fondo e tentano di sollevare il chierico che, con gesto perentorio, li ferma: “Lasciatemi stare, perché mi fa male la schiena”.
I soccorritori ubbidiscono: “Se lo tocchiamo pensano – ci muore fra le mani. Se ha rotta la spina dorsale, niente da fare” e lo lasciano seduto per terra.
Il signor Bianchi, che lo aveva seguito per tutta la giornata, è per una terapia reattiva a base di scossoni.
Dopo un quarto d’ora i soccorritori possono portare il chierico fuori dalla cripta e adagiarlo su di un materasso. Gli vogliono levare le scarpe, per meglio adagiarlo.
Il chierico, ancora una volta, vigorosamente si oppone: “Non levatemi le scarpe – supplica tra tanti sguardi meravigliati – perché ho le calze rotte”.
I soccorritori sorridono e si guardano con un’occhiata d’intesa: “Oramai non muore più”.
Per pura precauzione si fermano due o tre macchine delle più grosse per trasportare il ferito al non lontano ospedale, ma il materasso non passa attraverso la porta. Si chiama l’ambulanza che, allora, era una carrozzella a forma di lettiga, tutta chiusa su due grandi ruote e spinta a mano dai volontari del pronto soccorso.
Dall’interno, il chierico ferito, ode il cordoglio della gente già fitta lungo la strada: “È morto, è morto! Povero figliuolo, chissà come sarà ridotto!“.
All’ospedale, dopo una visita accuratissima, che non rivela lesioni di una certa entità, i medici si limitano a praticare una iniezione contro eventuali infezioni.
Trattengono il chierico in osservazione per una quarantina di giorni e, dopo due mesi, il ferito riprende il suo lavoro di garzone della Madonna, alla quale esprime ancora una volta la sua imperitura, filiale gratitudine, riconoscendo nel suo intervento prodigioso la gioia della sua seconda vita.
Era il chierico lavoratore BRUNELLO DOMENICO, divenuto poi sacerdote della Congregazione, che il 28 marzo 1992 ha celebrato il suo 50° di sacerdozio, innalzando l’inno di ringraziamento a Dio proprio qui nel Santuario.
A Tortona, la sera del 17 ottobre, si grida al miracolo, la gente a frotte va a curiosare nel vano della cripta e, naso all’insù, misura i metri di quella caduta, troppi per non gridare ad un intervento veramente prodigioso.
“Sento che qualche disgrazia sta per capitare” aveva confidato Don Orione e raccomandava di pregare per i chierici che lavoravano alla costruzione del Santuario.
“Io me la sentivo – ripete ancora una volta – ringraziamo la Madonna che tutto è avvenuto senza gravi conseguenze”.
C’è tutta una copiosa raccolta di testimonianze su disgrazie evitate e su pericoli superati, per particolare intercessione della Madonna della Guardia che, nel marzo 1927, a sua confessione, aveva fatto la grazia a Don Orione che nulla di grave accadesse durante la costruzione del Santuario.